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lunedì, gennaio 23, 2006
Un Teocon è dei "nostri"?
L'articolo è del 16/09/2005, ma l'ho ritrovato oggi su Panorama online:

Nel mondo, ma non del mondo, così si vuole la Chiesa. Convivere con il secolo, incarnarsi con Cristo nella storia, ma senza appartenere al tempo, senza vendergli il totalmente altro, l'eterno e insomma Dio. Mica facile.
Nel mondo che si crede liberato insieme da Dio e dall'umanesimo, e considera un diritto la libertà sessuale, con la sua appendice affettiva e di solidarietà personale, bisogna ricordarsi della lezione dottrinale di San Paolo e di Sant'Agostino, fustigatori della concupiscenza carnale e della sodomia, e financo del concubinato di cui il vescovo d'Ippona fece lunga e intensa esperienza personale prima della conversione e del battesimo.
«Ma in quella mia esperienza dovevo imparare quanta differenza passi tra la misura di un patto coniugale stretto per la procreazione dei figlioli e un accordo frutto di amore sensuale, nel quale la prole viene al mondo anche se non desiderata: nata però che sia, si fa amare per forza» (Agostino, Confessioni, libro IV, capitolo II).

Nata però che sia, si fa amare per forza. Ecco, la Chiesa è chiamata a difendere il matrimonio tradizionale con le unghie e con i denti, ben più di quanto sia riuscita a fare nella Spagna almodovariana e cervantina, nella patria di un antico immaginario transessuale che ha origini profonde nell'amor cortese.
È probabilmente chiamata a mutuare dal mondo evangelico americano, che invece finora di quel confine ha imposto il rispetto a colpi di referendum stravinti in 11 stati, se non i contenuti della predicazione almeno i metodi della guerra culturale, in alleanza con un vasto pubblico di laici che non ne vuol sapere di trasformare secolarismo e laicità in ideologia e pensiero unico dominante, politicamente corretto. Ma non può evitare di amare ciò che si fa amare per forza, cioè la condizione esistenziale contemporanea, che è figlia anche del seme della Chiesa e delle radici cristiane spesso vocalmente rinnegate.

La polemica contro le nozze omosessuali ha un senso profondo e radicale e merita di essere nutrita della consapevolezza di chiunque non abbia rinunciato alla ragione, perché considera la legge di José Luis Zapatero, che è una «completa equiparazione» al matrimonio delle unioni omosessuali, come una scelta di omologazione ideologica, di chiaro stampo antireligioso, di quanto nella tradizione esprime una differenza, una identità.
Zapatero non ha dato diritti matrimoniali ai gay, ha tolto al matrimonio fra un uomo e una donna il suo diritto alla diversità, a essere quel che è, la sua legittimità culturale in quanto unicum, religioso o civile, fondato sulla nozione naturale e convenzionale di famiglia e di procreazione. Ora, se si rivendica nel mondo diversità e identità, bisogna anche concederla, pena lo scadimento in un messaggio integralista che cancella il divario tra morale e legge.

Misure di tutela e solidarietà per le coppie di fatto possono essere accettate e negoziate dalla Chiesa che è nel mondo, e sono un rischio etico e teologico possibile per la Chiesa che non è del mondo.
In fondo un matrimonio civile senza figli (il caso di chi scrive, per esempio) è la sanzione di uno stato di fatto o la delineazione di un progetto di vita senza la grottesca paura del matrimonio inteso come parola carismatica e come fredda formula del diritto di famiglia, quella recitata in municipio dall'assessore di turno: la Chiesa questo matrimonio senza Dio o apparentemente senza Dio non lo riconosce legalmente, ma di fatto lo accetta. E dunque?
La battaglia va sempre messa a fuoco. Il no alle adozioni da parte di coppie omosessuali o di single è a mio giudizio più che sensato, è sacro: i figli non sono cani né gatti né altri tipi di animali domestici.
Si fanno, i figli, o meglio ancora si attendono o nei casi adottivi si custodiscono nell'unità familiare, ma non si fabbricano e non si adottano per tenere compagnia alla nostra libertà sessuale, questo moloch moderno al quale peraltro vengono sacrificati milioni di figli abortiti ogni anno.

Mettere a fuoco la battaglia, e il discorso vale allo stesso titolo per la Chiesa e per chi ne è fuori, ma non rinuncia a ragionare «come se Dio ci fosse», vuol dire non spaventarsi per la sanzione pubblica ragionevole di scelte private e sociali, per una misurata legislazione riformista che consenta il governo, senza boria e in un contesto che dovrebbe essere di politiche pro matrimonio e pro famiglia, delle schegge di libero amore che si esprimono fuori di quanto la tradizione laica e la dottrina della fede cristiana hanno di comune accordo, sebbene spesso in modo radicalmente differente, consacrato con il concetto e la pratica del matrimonio.

C'è uno scarto di qualità tra una legge che cancella l'identità del matrimonio (le nozze omosessuali) e provvedimenti amministrativi che sanano problemi di convivenza (le coppie di fatto e i loro diritti sociali).
Apprezzare questo scarto non è una resa senza condizioni al secolarismo dei laicisti, è un atto di saggezza per combattere meglio l'allegro nichilismo dei contemporanei.


A suo tempo mi sfuggì l'appoggio di un noto teocon (neocon?) come Ferrara alla "nostra causa"!
Spero che nella prossima legislatura si ampli ancora di più questo appoggio trasversale al Pacs.
posted by Andreas Martini @ 4:32 PM  
1 Comments:
  • At 10:04 AM, Anonymous Anonimo said…

    proprio per questo preferisco mille volte Ferrara a Pera, perlomeno lui è rimasto con una certa autonomia critica.

     
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About Me: Andreas Martini è uno pseudonimo, ma non sono "una velata": sono visibile dappertutto, ma per scelte diverse, anche politiche, non lo sono su questo blog e nella rete. 26enne, 100% orgoglioso abruzzese, 100% innamorato di Roma, la città che dal 2000 mi ha adottato. Laureato in Scienze della Comunicazione, giornalista praticante. Il mio blog è il mio impegno nella lotta per i diritti civili glbt. C'è anche attivismo vero: sono iscritto all'associazione di ispirazione socialista Rosa Arcobaleno e alla Federazione dei Giovani Socialisti.
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